L’ultima lettera a mamma l’avevo scritta l’8 dicembre del 1943. Poi i tedeschi avevano scoperto alcuni biglietti e ci avevano vietato di scrivere a casa. Ne ho appena scritto uno e l’ho lanciato dal camion che ci sta trasportando alla stazione di Milano.
Speriamo arrivi a mamma.
Che ci faccio su un camion diretto alla Stazione Centrale di Milano in questo 4 marzo 1944? Cominciamo con le presentazioni.
Mi chiamo Luigi Barcella, nato a Trescore Balneario il 10 gennaio 1925. Il primo di cinque figli, il più grande quindi.
Tutto è cominciato quando papà Giacomo litigò con alcuni fascisti. Lui faceva il falegname e i fascisti gli avevano commissionato un lavoro. Quando si trattò di ricevere il compenso dovuto quelli gli dissero che doveva bastargli il prestigio di aver lavorato per il fascismo.
Naturalmente papà litigò, voleva essere pagato.
Andò a finire che per evitare spiacevoli conseguenze fummo costretti a scappare, a trasferirci a Ranica. Perdere il lavoro fu però solo una delle conseguenze di quel litigio. Una delle tante.
Era il 1929. Io avevo solo quattro anni. Crebbi con un solo un desiderio. Emigrare in Argentina con la mia Gianna.
Iniziai come disegnatore prima alle fonderie della Dalmine, nel 1943, dove conobbi alcuni antifascisti. Poi andai a lavorare alla Rumi.
Mi iscrissi la Partito comunista e iniziai a fare la staffetta. Un compagno che abitava anche lui a Ranica andava a Bergamo a ritirare la stampa clandestina da un tabaccaio. E poi le smistava. A mio zio consegnava le copie dell’Unità, a me tutto il materiale di propaganda contro il regine fascista da distribuire nel bresciano.
Lo so, quella sera del 9 novembre 1943 non dovevo trovarmi per strada, C’era il coprifuoco. Aspettavamo una staffetta quando una ronda nazista arrestò me e mio cugino Emilio. Finimmo prima al carcere di Sant’Agata a Bergamo, poi a San Vittore. Avevo solo 18 anni.
Ci sono rimasto fino a ieri.
Interrogato più volte, per sapere da me i nomi delle altre staffette, degli altri compagni della Resistenza. Naturalmente non ho mai fatto nomi. E oggi mi stanno trasferendo alla Stazione di Milano. In carcere ho scritto diverse lettere a mamma.
“Io spero che tu e papà non vi lascerete abbattere per così poco, perché ricordatevi che non ho rubato né ucciso e fatto del male a qualche d’uno e ciò vi deve bastare…”
Luigi verrà deportato il 4 marzo 1944 con partenza dal binario 21 della Stazione Centrale di Milano. Con lui 100 prigionieri: 48 politici e 52 operai scioperanti. La destinazione? Il lager di Mauthausen.
Non ci resterà molto. Lui, col suo triangolo rosso dei deportati politici.
Lui, con il numero di matricola 57546 verrà trasferito il 9 aprile, giorno di Pasqua, nel sottocampo di Ebensee, «destinato al lavoro forzato come manovale per il progetto Zement: scavava gallerie per la produzione bellica di missili». Le condizioni erano durissime.
Luigi resiste per oltre un anno, poi «distrutto nel corpo e nello spirito», muore il 22 aprile del 1945, poche settimane prima della liberazione di Ebensee, da parte degli americani, che avverrà il 6 maggio.
Ha vent’anni. Ora della morte: 7:10 del mattino. La causa: tisi. Così c’è scritto sul documento redatto dai nazisti e riportato dalla Croce Rossa Internazionale.
Di lui non si conosce altro. Se è stato bruciato o se è finito in una fossa comune. La notizia della morte di Luigi arriverà alla famiglia a maggio «tramite un sopravvissuto».
«Il deportato politico è tale perché ha compiuto una scelta, quella di opporsi ai regimi. Sono considerate storie minori, poco trattate, ma altrettanto significative. Oltre 32 mila italiani sono finiti nei lager, come deportati politici».
«Perché hanno scelto di prendere le distanze dal nazi-fascismo. Le loro storie ci insegnano l’importanza di una presa di posizione in nome di certi ideali e sono attuali anche oggi. Proprio per questo non possono essere dimenticate».
Ricordate il biglietto lanciato da Luigi dal camion che lo stava trasportando a Milano destinazione Mauthausen? Fu consegnato alla mamma.
“Cara mamma parto per la Germania Non piangere Insegna ai miei fratelli ad amare la Patria. Salutatemi Gianna. Tanti baci. Vostro Luigi”
Grazie a @ivan_morotti per avermi suggerito di raccontare la storia di Luigi Barcella.
Un ragazzo, che sotto la dittatura fascista ebbe il coraggio di scegliere, decidendo di combattere per la libertà. Anche a costo della vita.
Perchè è sempre, una questione di scelte.
Racconto tratto dal canale Twitter Johannes Bückler
Le storie di Johannes Buckler sono state anche raccolte in libri, pubblicati con grande successo dalla casa editrice People
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