Le Quattro Giornate di Napoli

Durante la Seconda guerra Mondiale, le vicende degli ebrei di Napoli si differenziarono profondamente da quelle degli ebrei di ogni altra parte d’Italia. Di fatto, nessun ebreo di Napoli è stato mai molestato, arrestato o deportato, perché l’intero popolo napoletano aveva provveduto – in quattro leggendarie giornate – a cacciare i tedeschi ancor prima prima dell’inizio del grandi rastrellamenti (ottobre 1943), e dell’arrivo degli americani.

Solo quattordici ebrei napoletani, fuori città per lavoro o perché fuggiti altrove prima del settembre 1943, sono fatalmente caduti nella rete dei tedeschi.

Napoli, assieme a Sofia e Copenhagen, furono le uniche tre grandi città europee, sedi di comunità ebraiche, in cui gli ebrei non subirono arresti e deportazioni, e questo è per me e per ogni altro cittadino napoletano di ieri, oggi e domani, motivo di vero e profondo orgoglio.

Le quattro giornate di Napoli sono state spunto di innumerevoli film, canzoni, racconti, libri, poesie, e anche Johannes Bückler ha voluto raccontarle a suo, inimitabile modo.

Roberto Castaldo

Me lo ricordo bene quel 5 maggio 1938.
Era una bella giornata di sole.
Ai lati di Via Caracciolo, sul lungomare, c’era un sacco di gente in attesa del suo passaggio.
Ad un tratto l’auto scoperta avanzò tra le due ali di folla e lui, il Fuhrer, si alzò in piedi.

Ricordo ancor meglio la voce di uno sconosciuto che ruppe il silenzio della cerimonia, quando Hitler tese il braccio nel classico saluto nazista.
“Sta verenn’ si for’ chiove” (sta controllando se fuori piove)”.
E la gente scoppiò in una fragorosa risata.

4 giornate di Napoli

Perché noi napoletani, in quanto a ironia e capacità di non prenderci troppo sul serio, non ci batte nessuno. Non solo.
Ditemi voi dove Mussolini, definito ‘nu pagliaccio“ dal Vate, poteva farsi fotografare con una rosa in bocca, se non davanti al mare di Napoli.

Hitler e Mussolini davanti al mare di Napoli

Era il 1938, e tra poco Mussolini, “lo scimunito”, ci avrebbe portato in una guerra infame.
E noi, a ogni disgrazia una canzone.
Come il 28 marzo del 1943 quando la Caterina Costa, una nave carica di armamenti bellici, saltò in aria nel Porto di Napoli.

Seicento i morti. Tremila i feriti.
E il nostro grido di rabbia sfociato sul ritornello di “Napule ca se ne va”.
Dopo pochi mesi, “chesta storia ha da fernì!”, divenne realtà.

Scoppia 'a bomba 'e l'aeroplano, scoppia 'a nave dint' 'o puorto, oh mannaggia chi v'è muorto, chesta storia ha da fernì!

Tutto ebbe inizio il 27 settembre 1943. Aveva piovuto fino all’alba, poi era tornato il sereno. Alcuni giovani napoletani, rifugiatisi nel cascinale del Pagliarone per sfuggire alle retate ormai quotidiane dei tedeschi, uscirono all’aperto. Fu allora che le videro in lontananza.

Decine di navi stavano avanzando nel braccio di mare davanti a Napoli.
“Gli americani, gli americani!!!”.
E via di porta in porta, di strada in strada l’urlo di liberazione. Potevano aspettare lo sbarco?
Attendere gli americani? Mai.

A Napoli la Resistenza era già cominciata giorni prima, subito dopo l’armistizio.
Con alcune manifestazioni studentesche già il 1º settembre in piazza del Plebiscito e le prime assemblee nel Liceo Classico «Sannazaro» al Vomero. Poi, subito dopo, le prime azioni armate.

I primi scontri il 9 settembre, al Palazzo dei Telefoni. Poi il 10 settembre tra piazza del Plebiscito e i giardini del Molosiglio. E poi l’11 settembre alla Riviera di Chiaia. E il 12, con l’eccidio a piazza Bovio e la fucilazione di Andrea Mansi, per anni il “Marinaio ignoto”.

4 giornate di Napoli

 

4 giornate di Napoli

A Napoli i soldati italiani erano allo sbando per mancanza di ordini dai comandi militari. Con oltre 20.000 tedeschi in giro, la fuga in abiti borghesi dei generali Riccardo Pentimalli ed Ettore Deltetto non aveva certo aiutato. Era stato il caos. Ma ora eccole le navi americane.

Ma i napoletani vogliono consegnare una città già liberata.
Anche perché le navi sono ferme, bloccate dalle mine.
La prima fucilata contro i tedeschi venne sparata al Vomero in Via Belvedere (dal Vomero verrà sparata anche l’ultima).
E’ l’inizio delle Quattro Giornate.

Al Vomero vecchio erano stati una ventina di uomini, armati alla bell’e meglio, a insorgere.
Alla loro guida un popolano noto come “O baccalaiuolo”, (venditore di merluzzo secco).
Furono due tedeschi in sella ad una moto i primi a cadere.

Poi altri spari. Prima in Via Cimarosa, poi in Via Scarlatti e in Piazza Vanvitelli.
Lo scopo? Attaccare i tedeschi per prendere loro le armi.
Le voci di insurrezione arrivarono al comando tedesco, dislocato nel campo sportivo del Littorio (oggi stadio Collana ndr) usato come campo di concentramento.

Campo sportivo del Littorio

Un rastrellamento punitivo fu la prima risposta del maggiore Sakau.
“I napoletani la devono smettere di spararci addosso”. E così i tedeschi iniziarono a sparare a casaccio contro i palazzi.
Furono sei le prime vittime civili.
Anche un ragazzo, il cui nome rimarrà sconosciuto.

Poi ci fu un vero e proprio rastrellamento.
Uno dei tanti. Ma la Resistenza vuole combattere.
A organizzarla, al Liceo Sannazaro, saranno il professore Antonino Tarsia in Curia e il pittore Eduardo Pansini.
Al comando. il capitano Vincenzo Stimolo, detto “Enzo”.

E’ questo gruppo che intima ai tedeschi di liberare i prigionieri. Il temuto comandate Walter Scholl si trova all’Hotel Parco.
Lui a dare l’ordine di consegnare tutte le armi, il copri-fuoco, la distruzione delle fabbriche, e la chiamata al servizio obbligatorio per certe classi.

proclama

Scholl, rendendosi conto di non poter difendere il Vomero, decise di ripiegare.
Dopo aver liberato gli ostaggi.
Niente male per i patrioti napoletani in così poco tempo.
Ma altre forze tedesche sono attestate nella Conca di Agnano.

4 giornate di Napoli

Per quello i partigiani hanno organizzato un posto di guardia sulla strada della Pigna.
Dentro ci sono cinque patrioti.
Il tenente Giovanni Abbate, il soldato Celestino Sardu, il marinaio Mario Sepe, il vigile del fuoco Francesco Pintore e il civile Bruno Bonfiglio.

Sono loro a sentire per primi quel ronzio di motori. Dall’ultima curva apparve una colonna motorizzata composta da dodici autoblinde, un cannone anticarro e un carro armato.
Davanti, un’auto e una motocicletta.

4 giornate di Napoli

Uno scontro impari.

Con una sola mitragliatrice rubata ai tedeschi, quattro moschetti e otto bombe a mano, quei pochi uomini riuscirono a bloccare i tedeschi.
La città è in ginocchio per i bombardamenti, ma la rabbia dei napoletani cresce sempre di più.
In tutta la città sorgono barricate.

4 giornate di Napoli

La reazione è tremenda e molti giovani napoletani cadono sotto il fuoco tedesco.
Tra questi lo studente Adolfo Pansini, vent’anni, figlio del pittore.
Arrivano i rinforzi e i tedeschi si ritirano portando con loro alcuni prigionieri.
Verranno fucilati poco dopo.

4 giornate di Napoli

Ormai la rivolta dilaga.
A Capodimonte, al Vasto, a Foria e a Chiaia. Nella zona del Museo la battaglia più dura. Sono gli scugnizzi a portare ai partigiani le armi rubate ai tedeschi. Al Materdei e in difesa del Ponte della Sanità, c’è lei, l’operaia Maddalena Cerasuolo. Armata.

Maddalena Cerasuolo

Dopo 4 giorni di combattimenti verrà consegnata alla V Armata una città liberata.
168 vittime in combattimento, 140 quelle civili, 19 morti mai identificati, 162 feriti, 75 invalidi permanenti.
Napoli, la prima tra le grandi città europee a insorgere contro l’occupazione tedesca.

4 giornate di Napoli

A questo punto avrei dovuto ringraziare chi mi ha chiesto di raccontare le “Quattro giornate” di Napoli. Lo faccio sempre, com’è giusto.
Purtroppo non sono riuscito a ritrovare il tweet di chi mi ha suggerito di raccontare quei giorni. Me ne scuso.

 

4 giornate di Napoli


Racconto tratto dal canale Twitter Johannes Bückler

Le storie di Johannes Buckler sono state anche raccolte in libri, pubblicati con grande successo dalla casa editrice People

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