Molti erano a conoscenza dello sterminio degli ebrei eppure nessuno interveniva, tutti tacevano l‘orrore che i nazisti stavano commettendo.
Gli inglesi erano stati perfettamente e tempestivamente informati del fatto che i nazisti stavano sterminando spietatamente milioni di civili innocenti già all’inizio del conflitto. Avrebbero potuto denunciare il massacro e intervenire fermando o quanto meno limitando la portata distruttiva della Shoah, ma scelsero il silenzio.
Nel 1941 il battaglione numero 316 della polizia tedesca si trovava in un villaggio paludoso fra l’Ucraina e la Bielorussi. Tutte le vie d’uscita furono bloccate, l’ordine era quello di uccidere tutti gli uomini ebrei e affogare, per poi seppellire nelle paludi, tutte le donne. In breve tempo furono eliminati 1.658 ebrei. La polizia tedesca cercò di nascondere l’accaduto ma il racconto si diffuse molto velocemente.
I documenti dimostrano senza possibilità di dubbio che gli Alleati, in particolare Londra, ben sapevano quello che stava avvenendo già dal 1940. Lo sterminio avvenne praticamente sotto gli occhi delle democrazie occidentali, che non fecero abbastanza per fermarlo e in un primo periodo restarono addirittura completamente inerti.
Anche gli americani sapevano della Shoah, ma fecero poco. All’epoca furono pubblicati oltre 15.000 articoli sui giornali americani relativi alla Shoah, ma mai nessuno (compresi i grandi produttori cinematografici ebrei) trattò seriamente l’argomento, forse perchè non volevano esporsi, temendo di limitare la distribuzione di film in Germania.
Gli inglesi, magari con l’aiuto degli americani, avrebbero potuto organizzare azioni militari per tutelare parte delle popolazioni civili attaccate dai nazisti. Ma soprattutto, avrebbero potuto aprire le loro porte per salvare milioni di profughi, che invece si trovarono in trappola e finirono per essere sterminati.
Nonostante ciò, durante la guerra, molte furono le associazioni ebraiche che fecero pressione per chiedere un intervento, almeno una trentina, tra cui il Congresso mondiale ebraico. Ma, purtroppo, non riuscirono ad ottenere nulla.
Talvolta ci si mise persino la burocrazia: gli apparati governativi spesso non erano a conoscenza di tutte le informazioni in loro possesso. La Royal Information Service dell’Aviazione, ad esempio, possedeva immagini ad alta risoluzione scattate dai voli di ricognizione dei campi di concentramento, ma finirono seppellite nel mare di materiale raccolto.
Molti sostenevano che, anche volendo, i bombardamenti non fossero fattibili, ma intanto nel 1943, tre squadroni di Mosquito bombardarono un carcere ad Amiens (Francia), per favorire la fuga di prigionieri politici e partigiani. E addirittura un pilota americano, che ha partecipato alle operazioni nell’Est Europa, affermò: “Sorvolavamo spesso Auschwitz, era un punto d’incontro per le nostre operazioni nell’area”.
La storia di Jan Romuald Kozielewski è emblematica di questa paradossale situazione. Con lo pseudonimo di Jan Karski, incontrò alcuni leader ebraici nel ghetto di Varsavia e nel ghetto di transito di Izbica, i quali gli fornirono rapporti sulle uccisioni di massa avvenute nel campo di sterminio di Belzec.
In seguito, Karski riuscì a passare tali dettagliati rapporti ai leader alleati, compreso il Presidente americano Franklin D. Roosevelt; il risultato fu un ennesimo, assordante silenzio.
Per tutta la sua vita, Karski ha continuato a portare avanti quella che lui stesso definiva una “missione incompiuta” e come postumo riconoscimento del suo eroico impegno, nel 2016 nello storico quartiere ebraico di Kazimierz, è stato inaugurato un monumento raffigurante una panchina con il Karski comodamente seduto, quasi nell’attesa che qualcuno presti attenzione alla sua testimonianza.
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